MILANO

Nord e Sud unificati. Al peggio (dal virus)

Nord e Sud unificati. Al peggio (dal virus)

I bilanci di fine anno sono più amari, al termine di questo 2020 della pandemia in cui sono sfumate perfino le illusioni dell’“andrà tutto bene” e del “ne usciremo migliori”. E questa rubrica, che si chiama “Nordisti”, non può non prendere atto che questo anno ha sbriciolato anche il mito della superiorità del Nord, che si è sempre creduto più efficiente e forte di fronte alle emergenze.

La Lombardia, presunta eccellenza nella sanità, si è scoperta l’area con la maggior densità di morti e infetti d’Europa. Il Piemonte l’ha seguita a ruota. Il Veneto, che pareva un esempio di buona sanità territoriale durante la prima ondata, non ha retto alla seconda. La Valle d’Aosta è stata un disastro e anche Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige hanno mostrato le debolezze dei loro sistemi.

L’unità d’Italia, il superamento delle distanze tra Nord e Sud, sono stati realizzati dal Covid, ma purtroppo al ribasso: uguaglianza nell’inefficienza e nell’impreparazione. E non hanno aiutato le autonomie schizofreniche italiane, dove ciascun presidente di Regione cercava di mettersi in mostra strillando “apriamo!” oppure “chiudiamo!”, purché in contrasto con le disposizioni del governo.

Per capire meglio questa Italia che riesce a unificare Nord e Sud solo al livello più basso, è utile – e dilettevole – la lettura di un libro che ci racconta in un modo mai scritto prima le storie (vere) di un gruppo di giovani degli anni Settanta e Ottanta che partono in tempi diversi da una città del Sud (Iudeca, in cui è riconoscibile la siciliana Riesi) per cercare lavoro al Nord. A Genova, a Torino, a Milano. Gli Spaesati. Cronache del Nord terrone (Zolfo Editore) è insieme romanzo, saggio di sociologia, libro di antropologia e di storia d’Italia. L’autore, Enzo D’Antona, è un giornalista che ha lavorato a Palermo, a Milano, a Roma, a Salerno, a Trieste, scalando tutte le tappe della carriera giornalistica, e che ora si rivela un narratore ironico e appassionato.

L’esodo dei contadini meridionali che negli anni Sessanta partono con la valigia di cartone per diventare operai nelle fabbriche del Nord è in questo libro solo un ricordo in controluce. Qui a partire sono ragazzi che hanno frequentato il liceo classico o hanno una laurea in tasca. Immigrazione intellettuale, alla ricerca di un lavoro che al Sud non si trova. La “flessibilità” predicata come una virtù da chi guarda la società dall’alto dei suoi privilegi, nel racconto di D’Antona è una condizione perenne e obbligata di milioni di persone costrette a lasciare i loro paesi e le loro città per inventarsi un futuro altrove.

Risultato: “Lo spopolamento e in qualche caso la desertificazione di una parte di Sicilia ormai irrimediabilmente condannata al sottosviluppo e all’abbandono”. Ma spopolamento e desertificazione sono di tutto il Sud. Le storie di Ghezio e Gnazio, Mietitrebbia e Fernando, Maria Assuntina e Maria Catena, Liborio detto Borino e Crocifisso Antonino detto Mavalà (e il signor Gombo!) si dipanano tra le scale della terza palazzina Unrra Casas di Iudeca e le periferie del Nord, i vicoli di Genova, il Cin Cin Bar di Grugliasco, le sale biliardo di Nichelino, le strade di Sesto San Giovanni e di Cinisello Balsamo.

I ragazzi della terza palazzina si sistemano, diventano impiegati, giornalisti, dentisti, imprenditori. Ma sono condannati a restare “spaesati”, “terroni” al Nord e sradicati al Sud. Intanto scorre la storia d’Italia, le stragi e terrorismo, il passaggio dallo Stravecchio Branca al Negroni Sbagliato, i festival di Sanremo e gli omicidi di mafia. Oggi i nuovi “terroni” arrivano da altri Sud del mondo e noi abbiamo dimenticato tutto. Nell’Italia unificata – al peggio – dal virus, il Nord non è riuscito a essere migliore del Sud e il Sud si trova dissanguato da “uno spreco di intelligenze, di possibilità, di prospettive comuni. Un genocidio culturale senza fine”.

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Il Fatto quotidiano, 31 dicembre 2020
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