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Il lato oscuro della Valle. Politica & ’ndrangheta ad Aosta

Il lato oscuro della Valle. Politica & ’ndrangheta ad Aosta

Si racconta ai visitatori come una valle incantata, tutta turismo, pascoli, vacanze e autonomia. È la Valle d’Aosta, lo scenario montano dove t’immagini d’incontrare Heidi, sebbene in versione patois, un po’ francese e un po’ provenzale. La realtà è però più cruda: una corruzione politica pervasiva s’incrocia con una presenza mafiosa consolidata. Un tempo il re della valle era Augusto Rollandin, assessore dal 1978, poi presidente della Regione (1984-1990 e 2008-2017), nonché padre-padrone del partito-Stato, anzi, partito-Regione: l’Union Valdôtaine.

Ormai il maestro è stato superato dai discepoli: ben tre dei suoi successori alla guida della Regione, Antonio Fosson, Laurent Viérin, Renzo Testolin, sono oggi indagati per reati che hanno a che fare con la mafia. Tutti e tre vengono dall’Union Valdôtaine, a tutti e tre i magistrati contestano rapporti con le cosche: o il concorso esterno in associazione mafiosa o lo scambio elettorale politico-mafioso. In loro compagnia sono indagati anche un paio d’assessori regionali, Luca Bianchi e Stefano Borrello.

Dopo le sentenze dell’operazione “Geenna” del 17 luglio 2020 a Torino (rito abbreviato) e del 16 settembre ad Aosta (rito ordinario), nessuno può più dire che in Valle la ’ndrangheta non esiste, vista la raffica di condanne per associazione mafiosa. Anzi. Un’altra sentenza, quella del dicembre 2020 al processo “Altanum” di Reggio Calabria, sancisce che in Valle non solo era insediata la cosca Nirta-Scalzone, con radici a San Luca (Reggio Calabria), ma operava anche quella dei Facchineri. Due famiglie calabresi si confrontano e si sfidano sul territorio valdostano.

La storia va raccontata almeno dal 30 gennaio 2017, quando viene arrestato nientemeno che il primo magistrato della Valle: Pasquale Longarini, facente funzioni di procuratore ad Aosta. È accusato di aver sponsorizzato presso un albergatore, suo indagato per reati fiscali, i prodotti di un amico imprenditore, Gerardo Cuomo, massone, titolare del Caseificio Valdostano.

Ma Longarini è sospettato anche di aver avvertito Cuomo di essere intercettato dalla polizia giudiziaria. Brutto affare, perché l’imprenditore risultava in contatto con un pezzo da novanta calabrese, pluripregiudicato e indagato per narcotraffico: Giuseppe Nirta. Sarà ucciso in Spagna il 10 Giugno 2017. Suo fratello, Bruno Nirta, detto “la Belva”, è il responsabile della “locale” di Aosta.

Longarini nell’aprile 2019 sarà prosciolto per le sue cattive frequentazioni, ma nel luglio 2020 sarà condannato invece, per mafia, Bruno Nirta. Non da solo: la “Belva” è condannato in primo grado in compagnia dei suoi compari, ma anche di alcuni insospettabili: Nicola Prettico, ex consigliere comunale dell’Union Valdôtaine al Comune di Aosta incassa 11 anni di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso, come Alessandro Giachino, croupier del casinò di Saint Vincent.

Dieci anni invece, per concorso esterno, a Marco Sorbara, consigliere regionale ed ex assessore dell’Union Valdôtaine al Comune di Aosta. Stessa pena anche per Monica Carcea, assessore dell’Union Valdôtaine al Comune di St Pierre, sciolto per infiltrazioni mafiose.

Mafia e politica alla valdostana. È ancora in corso l’indagine “Egomnia”, che contesta il reato di scambio elettorale politico-mafioso: indagati un ex presidente di Regione, Antonio Fosson, e tre ex assessori regionali, Stefano Borrello, Luca Bianchi e Laurent Vièrin. Intanto è sotto indagine, e a un soffio dal fallimento, il casinò di Saint Vincent, un tempo macchina da soldi e consenso della politica locale. Oggi è in concordato preventivo, dopo che erano arrivate la Guardia di finanza, la Corte dei conti e la Procura della Repubblica a mettere il naso nei bilanci in rosso.

Sotto inchiesta contabile sono finiti 21 tra consiglieri e assessori regionali della Valle d’Aosta, tra cui l’immancabile Rollandin, accusati di aver buttato negli ultimi anni 140 milioni nel casinò, senza riuscire a salvarlo. La Procura ha addirittura contestato la truffa aggravata, tra gli altri, a Ego Perron, ex assessore ed ex presidente del Consiglio regionale, e agli amministratori della casa da gioco, accusati anche di falso in bilancio.

Il procedimento contabile, dopo le condanne in primo grado, aspetta la sentenza d’appello. Il processo penale, dopo le assoluzioni in primo grado ad Aosta, aspetta l’appello a Torino. E la Valle d’Aosta, massacrata anche dal Covid, aspetta tempi migliori.

Roberto Mancini, il cronista
“La prima autobomba contro un giudice esplose qui”

Aveva visto e scritto vent’anni fa quello che la politica e l’informazione locale non volevano vedere. Roberto Mancini, dopo due decenni di ostracismo ed emarginazione, ora ha avuto il riconoscimento di essere chiamato come esperto in audizione dalla Commissione parlamentare antimafia. Lo considera, finalmente, “una medaglia professionale“.

Che cosa è andato a raccontare?

Il 14 ottobre 2020 sono stato sentito dall’Antimafia in seduta plenaria, sulla criminalità organizzata in Valle d’Aosta. Ho presentato una relazione che inizia dagli anni Settanta. Ho ricordato, per esempio, che qui è esplosa la prima autobomba contro un magistrato: era il 1982, un anno prima dell’attentato in Sicilia a Rocco Chinnici, quando ad Aosta si salvò per miracolo il pretore Giovanni Selis, che indagava sul casinò di Saint Vincent.

Nella sua relazione lei fa un lungo elenco di “cold cases”, di casi irrisolti.

Da decenni, qui ci sono morti e attentati senza spiegazione e senza giustizia. Il negazionismo fino a oggi è stato fortissimo: per la politica dominata dall’Union Valdôtaine e per l’informazione locale (controllata dalla politica) questa è la valle di Heidi, dove la mafia non esiste.

Ora invece le sentenze le danno ragione.

La presenza della ’ndrangheta in Valle è stata sancita negli ultimi mesi da due sentenze, quella dell’inchiesta “Geenna” della Procura di Torino e quella del processo “Altanum” di Reggio Calabria. Dicono che sono addirittura due le cosche calabresi insediate in Valle.

Lei aveva già scritto tutto.

Ho scritto 15 puntate di “Storia della ’ndrangheta in Valle D’Aosta”, pubblicate a partire dal maggio 2014 su Nuova Società, la rivista di Diego Novelli. Proprio ora, curiosamente, sono state tolte dal sito della rivista.

La sua è una storia professionale complessa.

Ho fatto l’operaio metalmeccanico alla Cogne per 35 anni. Poi ho fatto il giornalista. All’inizio il giornalista sportivo: ho seguito, per il Manifesto, anche i campionati mondiali di rugby del 1995 in Sudafrica. Sono un rugbista e sto scrivendo la storia del rugby valdostano. Poi mi sono occupato di politica e ho collaborato con Nuova Società. Per un anno ho fatto perfino il commentatore politico dall’Italia per The Guardian online.

Sempre guardato con sospetto dai colleghi e sempre molto critico verso il potere politico valdostano.

Ho raccontato la corruzione e la mafia, nell’ostracismo generale. Ora vorrei che fosse superata l’anomalia istituzionale che affligge la Valle d’Aosta: il presidente della Regione, per effetto dello statuto d’autonomia del 1946, è anche prefetto. Il controllato è anche il controllore, ha di fatto autorità sulle forze di polizia. Oggi ben tre presidenti-prefetti sono indagati per mafia. È ora di farla finita con questa anomalia.

Il Fatto quotidiano, 3 gennaio 2021
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