CORONAVIRUS

Come tutto cominciò. Le date, le sottovalutazioni, gli errori

Come tutto cominciò. Le date, le sottovalutazioni, gli errori

Per capire l’emergenza Covid-19 in Italia bisogna capire che cosa è  successo in Lombardia. E per capire che cosa è  successo in Lombardia bisogna capire che cosa è capitato ad Alzano Lombardo, Val Seriana, 14 mila abitanti, a 6 chilometri da Bergamo.

Nell’ospedale locale, il Pesenti Fenaroli, il 23 febbraio 2020 vengono individuati i primi due casi Covid della zona. Le scelte fatte e le decisioni non prese in quelle ore  spiegano forse il dilagare dell’infezione verso Bergamo, poi verso Brescia, infine verso Milano. Questo è il calendario dell’orrore.

21 febbraio: primo caso di coronavirus individuato a Codogno. Il giorno dopo il governo chiude in “zona rossa” dieci Comuni del Lodigiano e Vo’ Euganeo, Padova.

Nella notte tra venerdì 21 e sabato 22 febbraio, muore una anziana signora, Angiolina Z., arrivata all’ospedale di Alzano il 12 febbraio per scompenso cardiaco. Si spegne però per polmonite e crisi respiratoria.

Altri due pazienti ricoverati nello stesso reparto, un ex camionista di Nembro, Franco O., e un pensionato di Villa di Serio, Tino R., in quelle ore diventano ufficialmente i primi malati Covid-19 del focolaio di Alzano. Tino R. viene sottoposto al tampone il 21 febbraio. Sabato 22, l’esito: positivo. Non avvisati i parenti, il personale dell’ospedale,  il ministero della Salute, a cui dev’essere data comunicazione dei casi pandemici.

Domenica 23, nel pomeriggio, viene chiuso il Pronto soccorso. Ma solo per poche ore. Poi riapre, dopo una sanificazione leggera, realizzata internamente. Senza la creazione di percorsi e ambienti differenziati per i sospetti Covid. A ordinare la riapertura sono il direttore sanitario della Asst Bergamo Est Roberto Cosentina e, su su, il direttore generale della Asst Francesco Locati e il direttore generale della sanità lombarda Luigi Cajazzo, braccio operativo dell’assessore Giulio Gallera.

Contrario il direttore medico del presidio ospedaliero di Alzano, Giuseppe Marzulli. Un dipendente della Asst racconta alla giornalista di Tpi Francesca Nava: “Marzulli era chiaramente contrario e si è espresso più volte in questo senso. Quel lunedì 24 febbraio io ero in servizio e dal suo ufficio lo si sentiva urlare con la direzione generale, la direzione sanitaria, la direzione strategica di Seriate che gli hanno imposto la riapertura”.

Lunedì 24 febbraio, infatti, l’ospedale riprende l’attività di sempre. Nei giorni seguenti, l’ecatombe. Muoiono pazienti, famigliari dei ricoverati, visitatori. Si ammalano il primario, medici, infermieri, portantini, pazienti, parenti, visitatori. Sono 170 i contagi ad Alzano, 200 nel vicino paese di Nembro. Oltre 2.300 i morti nella provincia di Bergamo.

Martedi 25 febbraio, Marzulli scrive ai suoi superiori: “È evidente che in queste condizioni il Pronto soccorso di Alzano non può rimanere aperto… Ritengo indispensabile un intervento urgente”.

Non arriva. Lo stesso giorno, 25 febbraio, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana dichiara: “È poco più di una normale influenza”.

Intanto il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, il 26 febbraio scrive su Facebook:“Bergamo non ti fermare! …Con questo spirito stasera ho proposto a mia moglie Cristina di venire a cena da Mimmo (un classico per noi bergamaschi)”. Istituisce un biglietto speciale per far arrivare a Bergamo dalle valli (compresa la vicina Val Seriana) visitatori per la Fiera dell’Artigianato del 1 marzo.

Il presidente di Confindustria Lombardia, Marco Bonometti, preme affinché non venga fermata la zona di Alzano che, a differenza di quella di Codogno, è zeppa di attività produttive: 376 aziende, 4 mila lavoratori, 680 milioni di fatturato.

Il sindaco di Milano Giuseppe Sala il 25 febbraio, in una diretta Facebook, dice: “In questo momento Milano non può fermarsi… Non si deve nemmeno diffondere il virus della sfiducia”. Due giorni dopo, il 27 febbraio, rilancia il video #milanononsiferma e posta su Instagram la foto del suo aperitivo sui Navigli con Alessandro Cattelan. Lo stesso giorno, anche il segretario del Pd Nicola Zingaretti posta su Facebook la foto del suo aperitivo sui Navigli: “Ho raccolto l’appello del sindaco Sala. Non possiamo fermare Milano e l’Italia”.

Il 27 febbraio, il segretario della Lega Matteo Salvini su Youtube:“Riaprire, riaprire tutto quello che può riaprire, fabbriche, negozi, musei, gallerie, palestre, discoteche, bar, ristoranti, centri commerciali…”.

1 marzo, il presidente Fontana annuncia: “Da stamattina siamo in collegamento con il presidente del Consiglio, per arrivare a un decreto che dovrebbe dettare regole”.

2 marzo: l’Istituto superiore di sanità propone la creazione di una “zona rossa” per isolare il “cluster” infettivo di Alzano e Nembro. Per tre giorni, dal 2 al 5 marzo, duecento poliziotti e carabinieri fanno base all’Hotel Continental di Osio Sotto, pronti a chiudere la “zona rossa”. La Regione, che potrebbe decretarla subito, aspetta le decisioni del governo.

Il governo decide domenica 8 marzo: chiude non il focolaio di Alzano e Nembro, ma l’intera Lombardia, dichiarata “zona arancione”. Ma oramai il contagio è dilagato.

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Il Fatto quotidiano, 31 maggio 2020 (versione ampliata)
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