GIUSTIZIA

Di Matteo: “Le scarcerazioni per il virus, un indulto mascherato”

Di Matteo: “Le scarcerazioni per il virus, un indulto mascherato”

“Il diritto alla salute di tutti i cittadini, anche quelli detenuti in carcere, è importante”, premette Nino Di Matteo, magistrato antimafia e membro del Consiglio superiore della magistratura. “Ma non possiamo tollerare quello che sta accadendo con le scarcerazioni in corso: un indulto mascherato”. Che cosa sta succedendo nelle carceri italiane? C’è l’emergenza coronavirus e due giorni fa, a Bologna, un detenuto è morto per il Covid-19. Il 17 marzo è stato emesso un primo decreto per favorire le scarcerazioni e gli arresti domiciliari; e secondo altre proposte potrebbero uscire di cella anche detenuti che hanno ancora da scontare addirittura fino a 3 o 4 anni di carcere.

Sono misure accettabili, dottor Di Matteo?

La tutela della salute dei detenuti e degli agenti di polizia penitenziaria viene prima di tutto. Ma non è detto che l’unica strada per garantirla sia scarcerare. Innazitutto dovremmo essere molto attenti alla salute degli agenti che entrano ed escono regolarmente dal carcere e dunque sono quelli che possono portare dentro l’infezione. Non mi risulta che questi servitori dello Stato siano stati dotati di mascherine e di tutti gli strumenti di protezione necessari, esattamente come i medici e gli infermieri negli ospedali, o anche peggio.

E i detenuti, costretti a vivere in cella, spesso in carceri sovraffollate?

Del sovraffollamento si discute da decenni, ma resta un tabù la soluzione più semplice: costruire nuove carceri. Nell’immediato, la scarcerazione non è comunque l’unica soluzione. Prima si potrebbero percorre altre strade. Mi risulta per esempio che esistano strutture penitenziarie e padiglioni oggi inutilizzati, che potrebbero essere impiegati come luoghi di isolamento per i detenuti eventualmente contagiati dal virus. Poi ci sono molte caserme dismesse che potrebbero essere rapidamente riconvertite, prima d’imboccare la strada delle scarcerazioni anche di detenuti di elevata pericolosità sociale.

Per i condannati per mafia, terrorismo, stupro e altri gravi reati le scarcerazioni sono escluse.

Non è detto. Il meccanismo del cosiddetto “scioglimento del cumulo” fa sì che potrebbero goderne detenuti condannati per mafia, ma anche per altri reati, che stiano scontando un residuo di pena per reati minori.

Parlando al plenum del Csm ha criticato duramente il decreto del 17 marzo che permette lo snellimento delle carceri.

Ho detto che è un indulto mascherato. Rende possibile la scarcerazione di migliaia di detenuti senza permettere al magistrato di sorveglianza una adeguata istruttoria su chi viene scarcerato, senza che possa valutare se esiste il pericolo di fuga e di reiterazione del reato. È stato creato un automatismo analogo a quello dell’indulto. Anzi, questo è peggio.

Perché peggio?

Perché almeno l’indulto è una decisione dei politici che se ne assumono la responsabilità. Qui invece la scaricano formalmente sui magistrati di sorveglianza, che però non possono decidere niente.

Le scarcerazioni sono state precedute da proteste e rivolte nelle carceri, con un bilancio di 13 morti e 35 milioni di euro di danni.

Questo è gravissimo. Un provvedimento preso a pochi giorni dalle rivolte anche violente e sincronizzate in decine di istituti in tutta Italia rischia di apparire come un cedimento dello Stato a un ricatto violento e organizzato.

Chi ha partecipato alle rivolte è escluso dalla possibilità di essere scarcerato.

È escluso chi è stato individuato, ma quanti non lo sono stati? Così il cedimento dello Stato è anche nei confronti di chi ha organizzato le rivolte, magari in contatto con organizzazioni mafiose. Le istituzioni non devono dare neppure l’impressione di cedere davanti ai ricatti violenti. Dovrebbero rispondere all’emergenza sanitaria in corso garantendo il diritto alla salute di tutti, ma senza cedimenti e senza infliggere un vulnus agli obiettivi di certezza della pena. Senza un indulto mascherato. Cercando, prima delle scarcerazioni di massa, altre soluzioni, come l’utilizzo di padiglioni oggi inutilizzati o di caserme dismesse.

Il Fatto quotidiano, 4 aprile 2020
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