GIUSTIZIA

La corsa a ostacoli del giudice Iannuzzi

La corsa a ostacoli del giudice Iannuzzi Un momento dell'inaugurazione dell'Anno Giudiziario presso la Corte di Cassazione, Roma, 25 gennaio 2019. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Il 6 febbraio sarà il Consiglio di Stato ad affrontare la contesa nata per il posto di presidente della sezione penale del Tribunale di Potenza. La vicenda inizia nel 2016, quando a fare domanda per quell’ufficio è Alberto Iannuzzi: è il gip di Potenza che ha firmato i provvedimenti sui gruppi di potere scoperti dal pm Henry John Woodcock e che incrociavano affari, massoneria e politica. Iannuzzi, dopo altre esperienze giudiziarie, fece domanda per diventare presidente del Tribunale di Potenza. Il Csm lo boccia, scegliendo all’unanimità Rosario Baglioni, proveniente dal Tribunale di Benevento e appartenente alla corrente di Magistratura indipendente. Era il Csm di cui faceva parte Luca Palamara, capo di Unicost, poi travolto dallo scandalo delle correnti.

Iannuzzi era allora un “cane sciolto”, non faceva parte di alcuna delle correnti della magistratura associata (oggi ha aderito ad Autonomia e indipendenza fondata da Piercamillo Davigo). Fa ricorso al Tar contro la bocciatura del Csm. Il Tribunale amministrativo del Lazio gli dà ragione, rilevando un difetto di motivazione nella nomina del Csm, che non aveva preso in considerazione le sue esperienze professionali. Il Csm, il ministero della Giustizia e il giudice Baglioni ricorrono allora al Consiglio di Stato, che dà loro torto. Iannuzzi ha vinto. Potrebbe andare ad occupare il suo ufficio.

Ma intanto, il Csm di Palamara, ormai in scadenza, a fine 2018 riesamina la vicenda e sceglie di nuovo Baglioni, con una nuova delibera in gran parte simile alla precedente. Uniche novità: per superare la bocciatura del Tar, indica le esperienze professionali di Iannuzzi, ma le valuta comunque inferiori a quelle di Baglioni; e segnala un procedimento disciplinare avuto da Iannuzzi ai tempi della vicenda “Toghe lucane” e dell’attacco dei magistrati di Potenza contro l’allora pm di Catanzaro Luigi De Magistris.

Iannuzzi e Woodcock, a differenza di molti loro colleghi, non si scagliarono contro De Magistris e Iannuzzi sostenne le sue idee nei suoi provvedimenti e in qualche dichiarazione pubblica. Il Csm segnala quel vecchio procedimento disciplinare, aggiungendo però che è irrilevante. Ma la conclusione è la fotocopia della prima delibera: nominiamo Baglioni. Iannuzzi si rivolge allora di nuovo al Tar, contro la seconda delibera del Csm che lo esclude. Questa volta il Tar gli dà torto. Ora la parola definitiva tocca al Consiglio di Stato.

Il Fatto quotidiano, 5 febbraio 2020
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