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Eni, la trappola della nave con il petrolio sbagliato

Eni, la trappola della nave con il petrolio sbagliato

Anche la nave con il petrolio sbagliato entra nelle indagini della Procura di Milano sul “complotto” Eni, quello che sarebbe stato progettato dal gruppo che ruota attorno a Piero Amara, ex avvocato esterno della compagnia petrolifera arrestato a febbraio 2018 per aver comprato sentenze. Tra le accuse ad Amara c’è quella di aver innescato presso la Procura di Siracusa, nel 2015, un’inchiesta truccata, su un inesistente complotto contro i vertici dell’Eni, con l’obiettivo di bloccare le indagini di Milano sulle attività della compagnia in Nigeria.

La nave con il petrolio sbagliato è la White Moon, arrivata nel maggio scorso davanti alle coste siciliane e pronta a scaricare il suo greggio nella raffineria Eni-Q8 di Milazzo. Il Fatto Quotidiano ne dà notizia il 13 giugno, raccontando che il petrolio nella sua pancia non era iracheno, come risultava dai documenti, ma iraniano, dunque sottoposto a embargo. Ora il procuratore aggiunto Laura Pedio e il sostituto Paolo Storari stanno valutando l’ipotesi che sia scattata una trappola, preparata dal gruppo di Amara, per coinvolgere Eni in uno scandalo internazionale. È quanto sostiene anche la compagnia petrolifera, in una raffica di esposti, denunce e documenti depositati in Procura a partire dallo stesso 13 giugno.

Ecco la vicenda, ricostruita ora sulla base delle carte ufficiali. Il 20 aprile 2019 la Ets (Eni Trading & Shipping) incarica la Oando (società petrolifera nigeriana) di portare un carico di greggio iracheno alla raffineria di Milazzo. Al vertice di Ets in quel momento c’è Alessandro Des Dorides. Il carico del greggio – secondo i documenti – avviene il 27 aprile a Bassora, in Iraq: la nave Abyss, con bandiera vietnamita, imbarca 700 mila barili di “basrah light”. Il 3 maggio, Abyss li versa alla nave di stoccaggio New Prosperity, da cui il greggio passa, il 5, alla White Moon, affittata da Ets.

Il prezzo pattuito è 41,43 milioni di euro, pagati il 15 maggio da Ets a Oando e contabilizzati il 20 maggio. Vengono subito fatte, come da prassi, le prime analisi del petrolio. Ma sparisce proprio il foglio su cui è riportata la percentuale di zolfo e il grado Api, che certifica la qualità del prodotto. Ad analisi successive, il greggio non risulta essere “basrah light”, ma di qualità superiore e più pregiata; dunque il prezzo risulta essere incredibilmente basso; per di più l’operazione è fatta in euro e non in dollari.

In Eni scattano gli allarmi, anche perché nel frattempo, il 28 maggio, Des Dorides è stato licenziato per i suoi affari illegittimi con Napag, una società fornitrice di Eni che i magistrati sostengono essere controllata da Amara. I controlli si moltiplicano. La compagnia scopre che in questa storia ci sono transponder spenti che impediscono di ricostruire le rotte delle navi. E linee di galleggiamento che dimostrano come la nave Abyss sia arrivata a Bassora già carica. Da dove?

Il 2 e il 4 giugno, Eni interpella Somo, la società petrolifera dell’Iraq, per sapere se ha fornito il “basrah light” che risulta caricato sulla Abyss. Somo risponde due volte no, su carta intestata e con la firma di Mohammed Saadoon Mohsin. Il 6 giugno arriva però a Ets una email che dice invece che il carico è stato effettuato: ma arriva su carta non intestata Somo, da un indirizzo email diverso dal solito e con una diversa firma.

Domenica 9 giugno, i manager Eni Francesco Galdenzi e Stefano Ballista si incontrano a Londra con il rappresentante di Oando, Omamofe Boyo, a cui contestano la difformità del petrolio fornito da quello promesso. Gli chiedono di comunicare chi è il fornitore del carico: è Napag – rivela Boyo – che aveva preso accordi diretti con Des Dorides, ma era poi stata “schermata” da Oando, per nascondere Napag che il 26 febbraio 2019 era stata cancellata dalla lista dei fornitori Eni, dopo che era emerso lo scandalo Hdpe: nel maggio 2018, la Ets di Des Dorides aveva pagato 25 milioni a Napag per la compravendita (poi non andata a buon fine) di un polietilene ad alta densità prodotto da una fabbrica iraniana. I magistrati milanesi stanno valutando se quel pagamento sia il tentativo di Eni di pagare il silenzio di Amara sul “complotto”, o sia invece uno degli affari realizzati dal gruppo Amara-Des Dorides alle spalle di Eni.

I manager della compagnia italiana incontrano il ministro del petrolio iracheno, Thamir Al Ghadhban. E il 16 luglio, finalmente, arriva da Somo la risposta definitiva: “1. Somo non ha mai emesso quei documenti di carico; 2. La nave Abyss non ha mai caricato (…) e non è neppure abilitata al terminal; 3. Somo non ha mai venduto quel carico di greggio al gruppo Napag. Pertanto la documentazione prodotta si deve ritenere falsa”.

Eni risolve il contratto, si fa restituire i 41,4 milioni da Oando, che ora li pretende da Napag, licenzia la collaboratrice di Des Dorides, Francesca Delladio, accusandola di aver fatto sparire le prime analisi del petrolio. E il 13 giugno denuncia i fatti alla Procura di Milano. Il 4 luglio, deposita in Procura anche la fattura, datata 14 maggio, dei 41,25 milioni di euro che la Oando ha pagato a Napag, su un conto a Dubai, per il greggio poi rivenduto a Eni per 41,43 milioni.

L’operazione non ha fruttato molto a Oando, ma poteva fruttare moltissimo ai suoi registi: se davvero era petrolio iraniano sotto embargo, il suo costo era certamente più basso dei 42 milioni chiesti a Eni. Ma l’operazione, oltre che un buon affare per i suoi ideatori, poteva essere anche un’imboscata per Eni: il 13 giugno, arrivano alla raffineria di Milazzo due agenti dell’Aisi, il servizio segreto interno, che avrebbero potuto verificare una violazione dell’embargo. Eni aveva però già bloccato la White Moon. La trappola, questa volta, non è scattata.

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Il Fatto quotidiano, 1 novembre 2019
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