GIUSTIZIA

“Sala era consapevole del falso”. Dunque ha mentito ai milanesi

“Sala era consapevole del falso”. Dunque ha mentito ai milanesi

Giuseppe Sala era consapevole di sottoscrivere un documento falso. Ma lo ha fatto per evitare ulteriori ritardi nei lavori, con il rischio di non aprire in tempo Expo 2015. Questo dicono le motivazioni della sentenza che a luglio ha condannato l’allora commissario e amministratore delegato di Expo spa a 6 mesi di reclusione, convertiti in una multa di 45 mila euro. Sala, in seguito eletto sindaco di Milano, era accusato di falso materiale e ideologico, per aver firmato, nella sua casa di Brera, due atti che cambiavano due commissari della più importante gara d’appalto Expo, quella della “piastra”, valore 272 milioni di euro. Li ha firmati il 31 maggio 2012, ma la data scritta sui due documenti era antecedente e falsa: 17 maggio 2012.

I manager Expo avevano segnalato la probabile incompatibilità dei due commissari. Ma per cambiarli, era necessario ricominciare da capo la procedura, e questo avrebbe allungato i tempi e messo a rischio l’apertura di Expo, il cui cronoprogramma era già in grave ritardo. Sala temeva di non riuscire ad aprire i cancelli il 1° maggio 2015. Ecco dunque che nel 2012 furono forzate le procedure e falsificati i due atti con una firma falsa.

Condanna, dunque. Sala, scrivono i giudici, “deve essere ritenuto penalmente responsabile del reato ascrittogli. Integrato sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo”. Ma per lui scatta l’attenuante di aver “agito per motivi di particolare valore morale o sociale”. Secondo il Tribunale, “Sala firmò i verbali per evitare ritardi”, con “l’obiettivo di evitare che la questione della paventata incompatibilità” dei due componenti della commissione di gara potesse comportare il “rischio di ulteriori ritardi nell’espletamento della procedura” e quindi mettere in pericolo l’apertura di Expo. “Deve dunque trovare particolare considerazione la volontà di realizzare le infrastrutture in tempo utile, pena il fallimento vero e proprio della manifestazione”.

Esclusa comunque, per i giudici, la “volontà di avvantaggiare taluno dei concorrenti alla gara. O danneggiare altri”. È emersa solo la volontà “di assicurare la realizzazione in tempo utile delle infrastrutture necessarie per la realizzazione e il successo dell’Esposizione universale del 2015. Risultato poi effettivamente conseguito e unanimemente riconosciuto”. Il Tribunale sembra ipotizzare una sorta di reato commesso a fin di bene. Anche se le eventuali buone intenzioni di norma non possono addolcire il codice penale.

Eppure nelle motivazioni si legge chiaramente che l’allora numero uno di Expo ha sottoscritto i due verbali “consapevole delle illecite retrodatazioni”. E quindi “della surrettizia creazione in data 31 maggio 2012 di documenti che alla data del 17 maggio 2012 non erano esistenti”.

Sala era certamente consapevole del falso. Dunque ha mentito quando nell’aula del processo e in numerose dichiarazioni fuori dall’aula ha più volte ripetuto di non essersi accorto delle date false e di non ricordare come e quando firmò i due documenti. Ha mentito in aula: e questo a un imputato è concesso. Ma ha mentito da sindaco fuori dall’aula: è questo per un primo cittadino è grave.

I legali di Sala hanno annunciato che ricorreranno in appello contro la sentenza di condanna. Mossa del tutto inutile, perché il reato di falso che gli è stato contestato, a novembre evaporerà, per effetto della prescrizione. Questa potrebbe essere rifiutata dal condannato, che potrebbe difendersi nel merito anche in secondo grado: ma sembra escluso che Sala scelga questa strada.

Il Fatto quotidiano, 3 ottobre 2019
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