GIUSTIZIA

La riforma Bonafede della Giustizia. Politica più lontana, sorteggio al Csm

La riforma Bonafede della Giustizia. Politica più lontana, sorteggio al Csm

Eccola, l’annunciata riforma della Giustizia. È pronto il testo predisposto dal ministro Alfonso Bonafede che interviene nel processo civile e in quello penale per renderli più rapidi; riorganizza l’ordinamento giudiziario, anche bloccando le “porte girevoli” tra magistratura e politica; e cambia il metodo di scelta del Csm, introducendo un sorteggio tra i candidati eletti dalle toghe per far parte dell’organo di autogoverno della magistratura. È un disegno di legge che impegna il governo a varare, entro un anno dalla sua approvazione, i decreti legislativi che riformino il codice di procedura civile, il codice penale e quello di procedura penale, l’ordinamento giudiziario e la legge sul Csm. Ecco i punti salienti.

Csm, sorteggio e meno politica. I componenti del Consiglio superiore della magistratura tornano 30, come prima del 2002 (riforma Castelli). I togati passano da 16 a 20, quelli di nomina politica da 8 a 10. Gli eletti dal Parlamento devono essere “scelti tra i professori ordinari di università in materie giuridiche e tra gli avvocati dopo 15 anni di esercizio professionale”. Ma non possono essere parlamentari, nazionali o europei, o membri del governo, o sindaci in Comuni con più di centomila abitanti: né in carica, né possono esserlo stati nei cinque anni precedenti.

La novità più forte è sul sistema di elezione. I venti togati del Csm sono scelti in due fasi. La prima è il voto dei magistrati, “personale, diretto e segreto” in venti collegi (ora c’è un collegio unico nazionale). La seconda sarà il sorteggio di uno dei cinque eletti in ogni collegio (senza distinzioni tra pm e giudicanti).

Dopo essere stati al Csm, i magistrati per quattro anni non potranno assumere incarichi direttivi (come procuratore) o semidirettivi e per due anni non potranno essere collocati fuori ruolo.

Più potere ai capi. Aumenta la gerarchizzazione delle Procure e dei Tribunali. Spariscono gli incarichi semidirettivi: i procuratori aggiunti e i presidenti di sezione dei Tribunali. Diventeranno “magistrati coordinatori”, non saranno più indicati dal Csm, ma scelti dai loro capi, i procuratori della Repubblica che designeranno i loro “coordinatori di dipartimento” e i presidenti di Tribunale che indicheranno i “coordinatori di sezione”. Saranno i procuratori della Repubblica, per “garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale”, a indicare anche i “criteri di priorità” con cui “selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre, sulla base di criteri di priorità trasparenti e predeterminati”.

Sarà introdotto il whistleblowing, cioè la tutela per chi segnala illeciti dei magistrati e del personale amministrativo degli uffici giudiziari.

Politica più lontana. I magistrati che saranno eletti in Parlamento o all’Europarlamento o entreranno nel governo o saranno eletti sindaci in Comuni con più di centomila abitanti non potranno più tornare a indossare la toga. Saranno ricollocati in uffici non giudiziari, ma amministrativi. Chi si candida, ma non viene eletto, dovrà stare per 5 anni in uffici amministrativi e poi potrà tornare a fare il magistrato, ma in un distretto diverso da quello in cui si è candidato.

Indagini più brevi. Tempi più stretti per le indagini preliminari: 6 mesi dall’iscrizione sul registro degli indagati, per i reati minori (che prevedono pena pecuniaria o detentiva non superiore a 3 anni); 1 anno e 6 mesi per i reati più gravi; 1 anno per tutti gli altri. La proroga può essere concessa una sola volta e per la durata massima di 6 mesi. Dunque la durata delle indagini, per i reati più pesanti, è al massimo di 2 anni. Il pm che non rispetta questi tempi commette “un illecito disciplinare, quando il fatto è dovuto a dolo o a negligenza inescusabile”.

Dopo 3 mesi dalla fine delle indagini, il pm deve o archiviare o esercitare l’azione penale. Se non lo fa, deve avvisare l’indagato e depositare gli atti raccolti fino a quel momento. L’indagato, visti gli atti della discovery, può chiedere a questo punto che il pm decida la sua sorte e il pm deve farlo entro 30 giorni.

Più difficile rinviare a giudizio. Il pm avrà criteri più stringenti per mandare a processo i suoi indagati: non gli basterà, come ora, aver raccolto elementi sufficienti a sostenere il giudizio, ma non dovrà esercitare l’azione penale “nei casi in cui gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non consentano, anche se confermati in giudizio, l’accoglimento della prospettazione accusatoria”.

Processi più rapidi. Termini perentori per abbreviare la durata dei processi: 4 anni per il primo grado, 3 anni per l’appello, 2 per la Cassazione. Per chi non rispetta questi tempi, per “negligenza inescusabile”, “in più di un terzo dei processi civili e penali iniziati dal magistrato”, scatta uno “specifico illecito disciplinare”. Semplificate anche le notifiche agli imputati, che oggi allungano i tempi: solo la prima sarà fatta all’imputato, le successive saranno “eseguite mediante consegna al difensore”, via posta elettronica.

Primo grado e appello. “Quando non è possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza”, il giudice deve subito comunicare il calendario delle udienze e prevedere il deposito delle consulenze tecniche “entro un termine congruo”. Saranno ridotte le possibilità di ricorrere in appello.

Processo civile. Saranno snellite le procedure e ridotte le udienze. Sarà diminuito il ricorso alla mediazione e alla negoziazione assistita, nei casi in cui non ha dato prova di essere utile. Nella negoziazione assistita, però, gli avvocati potranno fare una parte del lavoro che oggi viene svolto dal giudice, con “attività istruttoria, denominata attività di istruzione stragiudiziale, consistente nell’acquisizione di dichiarazioni da parte di terzi su fatti rilevanti”.

Il Fatto quotidiano, 13 luglio 2019
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