AFFARI

Povero Sala condannato, la politica e la stampa tutta solidarizzano

Povero Sala condannato, la politica e la stampa tutta solidarizzano

di Marco Travaglio/

Ieri, 6 luglio 2019, chi ha avuto la sventura di leggere un qualunque quotidiano che non fosse il nostro s’è fatto l’idea che Giuseppe Sala, sindaco Pd di Milano, abbia subìto un vile attentato o un grave lutto. L’intera stampa si è stretta intorno a lui e ai suoi famigliari insieme al Pd, alla Lega e a FI per tributare alla vittima i sensi della più profonda commozione e della più sentita solidarietà, con incitamenti a resistere, a non mollare, a non darla vinta ai birbaccioni.

Invece Sala è stato semplicemente condannato dal Tribunale di Milano a 6 mesi di reclusione (commutati in multa) per falso in atto pubblico. Motivo: il 31 maggio 2012, quand’era amministratore delegato di Expo 2015, firmò due atti (retro)datati 17 maggio: erano i nuovi atti di nomina della commissione aggiudicatrice del più grande appalto di Expo (quello della “piastra” da 272 milioni), finalizzati a sanare i primi, quelli che infilavano in quell’organismo due commissari incompatibili. Due verbali falsi per evitare di rifare tutto daccapo e garantire il mega-business a chi doveva aggiudicarselo.

Ma su quelle illegalità la Procura di Milano chiuse un occhio, anzi due, fino alla revoca delle indagini sulla “piastra” al titolare, il procuratore aggiunto Alfredo Robledo, da parte del suo capo Edmondo Bruti Liberati, poi ringraziato per cotanta “sensibilità istituzionale” dal presidente Giorgio Napolitano e da Matteo Renzi. Così Sala la scampò, mentre tutti i suoi principali collaboratori finivano in galera o sotto inchiesta, senza contare le retate per le infiltrazioni della ’ndrangheta.

L’Expo partì con un terzo dei padiglioni incompleti (7 anni e mezzo dopo l’aggiudicazione) e si chiuse con un buco di 2 miliardi: un trionfo. Nel 2016 la Procura generale notò l’inerzia della Procura e avocò l’inchiesta sulla “piastra”, indagando Sala e ottenendone il rinvio a giudizio. E, l’altroieri, la condanna. Dunque, per il Tribunale, Sala è un falsario. E pure un bugiardo, per le balle che ha rifilato ai giudici, ai giornali e ai cittadini per difendersi: tipo che firmò i due verbali retrodatati “senza esserne consapevole”, per colpa di “avvocati incapaci”.

Come se un manager potesse firmare atti il 31 maggio senza domandarsi come mai sono datati 17 maggio. Che farebbe, in un Paese serio, un politico che falsifica verbali d’appalto, mente per evitarne le conseguenze e viene condannato? Si dimetterebbe ipso facto. È quel che si era impegnata a fare la sindaca di Roma Virginia Raggi, in base allo Statuto 5Stelle, in caso di condanna nel suo processo, anch’esso per falso, sia pure per fatti molto più veniali (una dichiarazione sulla nomina di Renato Marra alla direzione Turismo, in cui escludeva interferenze del fratello Raffaele, capo del Personale).

Tutti i quotidiani le davano della falsaria e della bugiarda ben prima del processo e della sentenza, che attendevano con la bava alla bocca per levarsela di torno. Poi purtroppo la Raggi fu assolta, ma si trovò comunque il modo di darle della bugiarda, anche se il Tribunale ha accertato che disse la verità a lei nota, perché le interferenze avvennero alle sue spalle, in una riunione senza di lei. Nessuno, dicesi nessuno, aveva mai ipotizzato che la Raggi potesse restare al suo posto in caso di condanna anche a un solo giorno.

Ora invece il quadro si ribalta: il sindaco di un’altra metropoli – detta umoristicamente “capitale morale d’Italia” – viene condannato per falso e tutti lo implorano di non dimettersi (cosa che peraltro il falsario non ha alcuna intenzione di fare), sperticandosi in elogi, baci e salamelecchi. Da Zingaretti a Salvini a Toti (sono soddisfazioni). E i giornali (tutti) a ruota.

La condanna di Sala, sulle prime pagine, non è degna dell’apertura neppure in una giornata priva di notizie. Gli spazi sono addirittura inferiori alla richiesta di condanna per la Raggi. E il falso che ha portato alla condanna spariscono dai titoli, tutti occupati dalle dolenti lamentazioni di Sala e dagli alti lai dei suoi compari di partito e di casta. Il Corriere ha un titolino in basso a destra: “Sei mesi a Sala: ‘Un processo al mio lavoro’” (come se il suo lavoro fosse taroccare verbali d’appalto), sormontato dal rassicurante occhiello: “Il sindaco: ‘Vado avanti’” e corredato dall’editoriale strappalacrime di un affranto Venanzio Postiglione: “Nel labirinto italiano (aspettando i Giochi)”.

La tesi è quella di Sala “un po’ condannato” (6 mesi sembrano pochi: si aspettavano l’ergastolo?) e del delitto a fin di bene: “meno male che ha sbagliato” perché col falso “i lavori sono finiti in tempo” (balle: Expo partì largamente incompiuto). E poi le solite geremiadi sul Pg che “sconfessa i pm” (come se le Procure non fossero soggette alle Procure generali) e sulla “Bisanzio” dell’“intreccio di norme” in cui rischia di incappare il povero manager che “agisce”, mentre solo chi “resta immobile e impaurito non finisce indagato” (panzane: per non finire indagato, bastava che Sala non firmasse i verbali farlocchi).

Il Venanzio piangente ora teme di perderlo: come faremo senza il condannato che “congela il mandato bis da sindaco e le ipotesi di leadership nazionale”? Fortuna che “la prescrizione, a novembre, renderà inutile l’appello” (fandonie: se Sala vuole appellare la condanna, non ha che da rinunciare alla prescrizione). Mirabile la chiusa postiglioniana: “A Milano fa caldo e si dorme poco”.

Il che spiega le succitate corbellerie, ma anche gli altri titoli: “Il sindaco: io vittima di uno scontro tra pm” (lo statista non sa nemmeno distinguere fra Pg e pm, e nessuno gli spiega che l’hanno condannato tre giudici di Tribunale), “Una sentenza del genere, per un vizio di forma (vuole abolire pure il reato di falso?, ndr), allontanerà tanta gente onesta e perbene dalla cosa pubblica (almeno gli onesti che taroccano i verbali d’appalto, ndr)”.

Repubblica, in prima, ha ben di meglio da raccontare: Gentiloni contro Salvini sui migranti (sorpresona) e la “nostra intervista esclusiva” a Carola (intervistata, sempre in esclusiva, anche da Spiegel e Guardian). Però uno spazietto per Sala a fondo pagina lo trova. Anche lì la sentenza è un’opinione (di Sala): “Expo, condannato Sala: ‘Un’ingiustizia, resterò sindaco’”. All’interno, anziché del reato, si dà conto della “solidarietà anche da Lega e FI” (tra condannati ci s’intende) e si intervista l’ex sindaco Albertini (“Sto con lui”: e meno male, si stava in pensiero).

Il Messaggero ha una caccolina in prima, mentre all’interno spiega che “retrodatò i verbali per far ripartire lavori” (falso più del falso di Sala) e intervista il capogruppo leghista Molinari, un altro che ha capito tutto: “Così amministrare è impossibile, bisogna abolire l’abuso ufficio” (infatti Sala è condannato per falso). Poi, per la serie Oggi le comiche, c’è La Stampa: mezza paginetta su Sala a pagina 8 e nemmeno una riga in prima, occupata da ben altri notizioni: “L’estate calda dei treni”, “Pernigotti, niente intesa: il passo indietro del re del gelato”, “Il mago-artista che crea manichini e maschere di mostri”, “Il baby batterista tra scola elementare e concerti in Germania”, “Feticcio o status symbol: così la scarpa svela la nostra personalità”.

Molto meglio degli house organ di Forza Italia e Lega che, con quel che digeriscono ogni giorno, hanno stomaci fortissimi. Il Giornale: “Toghe impazzite. Indagano su Sala per un successo” (in realtà lo condannano, ma fa lo stesso). Il Foglio: “Sala condannato in base a un ‘ragionamento’. La singolare motivazione della sentenza” (sarebbe un verbale retrodatato e la motivazione sarà nota fra due mesi, ma che sarà mai). Libero: “Sala condannato per il successo Expo” (sarebbe per falso, ma fa niente).

Del resto è lo stesso Sala a confidare a Repubblica, restando serio: “Ho ricevuto più sms positivi oggi che quando abbiamo portato a casa l’Olimpiade”. Non è meraviglioso? Per i Giochi bisognerà purtroppo attendere l’inverno del 2026, ma lui ha già vinto la medaglia d’oro. In falso con l’asta, falso in alto e falso in lungo.

di Marco Travaglio, brani dall'editoriale del Fatto quotidiano, 7 luglio 2019
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