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Quanta melassa (ideologica) per le Olimpiadi a Milano

Quanta melassa (ideologica) per le Olimpiadi a Milano

Troppo zucchero fa venire il diabete. E sulla vittoria di Milano-Cortina (strano ircocervo) alla candidatura per le Olimpiadi invernali del 2026 è stato steso tanto di quello zucchero da uccidere anche il più sano degli sportivi. “Miracolo a Milano”, titolava Repubblica. L’enfasi non è mai un buon ingrediente del giornalismo. Che festeggino i politici che hanno vinto e che su quella vittoria costruiranno le loro carriere future, ci sta. Ma che i giornali si accodino, anzi li scavalchino, per celebrare le magnifiche sorti e progressive del lombardo-veneto in tuta da sci o da curling, è ridicolo e anche un po’ penoso. Significa rinunciare a ciò che rende giornalismo il giornalismo: il distacco critico su quello che viene raccontato, il rifiuto di applaudire e gridare evviva, la volontà di controllare, il ruolo di cane da guardia nei confronti dei poteri.

Che pena vedere tanti bravi colleghi trasformarsi da giornalisti in trombettieri del regimetto delle grandi opere, dei grandi eventi, dell’Expo e dell’Olimpiade, dei tunnel e del Tav. Si è aperta una nuova stagione di melassa e di retorica. Si dice che siamo in epoca post-ideologica: falso. L’ideologia non è mai stata tanto forte e tanto trasversale, quasi senza opposizione. Non più le grandi e tragiche ideologie del Novecento; ma le piccole, ridicole ideologie di uno sviluppismo da Disneyland, con i “grandi eventi” – un’esposizione universale, un Mondiale di calcio, un’olimpiade – presentate come fossero il New Deal.

La narrazione sostituisce i fatti, lo storytelling si mangia la realtà, i pierre sostituiscono gli statisti. A dispetto delle cifre e dei dati. Dei disastri economici di quasi ogni olimpiade. Degli sprechi. Degli impianti abbandonati. Stiamo ancora aspettando che i professoroni della Bocconi, che avevano fatto le mirabolanti previsioni dello sviluppo che Expo avrebbe generato, ci spieghino che fine hanno fatto i milioni di occupati previsti, i miliardi di indotto generati, i punti di pil promessi. Oggi il giochetto si ripete: il Sole 24 ore ci dice che l’olimpiade della neve, che ha per capofila la città dove non nevica più, produrrà “una ricaduta sul territorio da 4,5 miliardi e 36 mila posti di lavoro”.

Tutti a ridere felici, a battere le mani, a suonare le trombette e i kazoo, perché Milano, che effettivamente è già l’unica città europea d’Italia, continuerà a crescere e a diventare più bella e più ricca. Una sinistra degna di questo nome dovrebbe accorgersi che da anni a Milano la crescita è diseguale, che i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. E che, se l’uguaglianza è davvero la tua bandiera, gli investimenti li devi progettare dove sono più necessari, non dove c’è già più ricchezza. Invece abbiamo una sinistra del “piove sempre sul bagnato”.

E giù a ridere felici e a compiacersi di quanto sia bella Milano (vero!), ma considerandola il villaggio di Asterix del centro, circondato dalle periferie e dalle suburre e dagli hinterland incattiviti e lasciati senza speranza. Il sindaco Giuseppe Sala è riuscito a convincere (quasi) tutti che il modello Expo sia stato positivo, vincente e di successo. Due miliardi di euro pubblici spesi, 700 milioni incassati: strana idea di successo. Ora ci riprova con l’Olimpiade invernale. Grazie ai soldi distribuiti a pioggia e senza gara ai tempi di Expo, è riuscito a diventare sindaco. Ora grazie ai soldi dei giochi invernali, si costruirà un futuro come candidato presidente del Consiglio. Una carriera tutta costruita a spese dello Stato – cioè nostre. La più costosa campagna elettorale della storia italiana.

 

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Il Fatto quotidiano, 27 giugno 2019
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