MILANO

Expo, l’accusa contro Sala: “Condannatelo a tredici mesi per due falsi”

Expo, l’accusa contro Sala: “Condannatelo a tredici mesi per due falsi”

Un anno e un mese: è questa la condanna che la Procura generale chiede per il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, sotto processo per falso materiale e ideologico. L’accusa è di aver firmato, quand’era commissario e amministratore delegato della società Expo, due atti falsi, retrodatati, per nominare due commissari supplenti per la gara della Piastra, il più ricco degli appalti per i lavori dell’esposizione universale 2015. “Il reato è documentalmente provato”, ha detto ieri in aula il sostituto procuratore generale Massimo Gaballo. La Procura generale era scesa in campo dopo che la Procura aveva chiesto l’archiviazione delle accuse a carico dell’ex commissario Expo diventato nel frattempo sindaco di Milano.

Il 15 maggio 2012 vengono nominati i cinque commissari del più grande appalto Expo. Il 18 si svolge la prima seduta pubblica della commissione giudicatrice, alla presenza dei commissari. Subito dopo, emerge che due di loro sono incompatibili, non possono far parte della commissione. La gara rischia di saltare. È “un problema grave”, segnala Gaballo, “tale addirittura da mettere in forse la stessa realizzazione di un evento di rilevanza internazionale”. Tra i manager di Expo seguono contatti frenetici, comunicazioni tese.

Il 31 maggio, arriva la pezza per risolvere il problema: Sala firma, nella sua casa di Brera, un atto che annulla il verbale del 15 di nomina della commissione, con la motivazione che “per mero errore materiale non è stata inserita in tale verbale la nomina dei commissari supplenti”; e firma un secondo documento in cui nomina di nuovo gli stessi commissari, aggiungendo però quattro “commissari supplenti, in sostituzione dei predetti membri effettivi della commissione giudicatrice in caso di qualsiasi impedimento di questi ultimi ad attendere a una o più sedute”. La data indicata sui due documenti, falsa, è quella del 17 maggio 2012.

Conclude il pm: “Dobbiamo pertanto ritenere provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che i ‘triumviri’, identificati con certezza nelle persone di Sala, Paris e Chiesa (Angelo Paris e Carlo Chiesa erano i manager che affiancavano Giuseppe Sala in Expo, ndr) decisero di retrodatare gli atti per la sanatoria delle incompatibilità, quale unica modalità per rendere inattaccabile la procedura di gara, scongiurando il rischio di ricorsi giurisdizionali da parte dei concorrenti non vincitori”.

Interrogato in aula il 15 aprile, Sala aveva opposto alle domande del pm una serie infinita di “non ricordo”. Per dieci volte ha ripetuto di non avere memoria di niente. Di non essersi neppure accorto “della retrodatazione dei verbali”, consapevolezza acquisita solo dopo essere stato indagato. “Ho firmato migliaia di atti, ancora oggi non lo ricordo come uno dei passaggi più rilevanti della storia di Expo”, aveva detto. “Solo quando le mie strutture mi segnalarono che due commissari versavano in una incompatibilità presunta, chiesi di trovare una soluzione. Non ricordo quando e dove ho messo la firma”.

Al pm che gli chiedeva se aveva visto che la data degli atti era diversa (17 maggio) da quella in cui li stava firmando (31 maggio), aveva risposto: “Non lo ricordo, per me l’importante era la parte sui sostituti commissari, non ho guardato la data”. Per caso firmò due volte? “Non lo ricordo”. Chi portò i documenti da firmare? “Non lo ricordo”. E aveva aggiunto: “Escludo di aver sempre riguardato dentro le migliaia di pagine di migliaia di atti: non è che firmassi senza guardare, ma la mia era una verifica sommaria, sulla fiducia che i miei tecnici capaci avessero verificato tutto”.

Tutta colpa dei suoi “tecnici capaci”, dunque? No, secondo il pm: “Sala non è credibile quando cerca di minimizzare il problema, che invece era grave, perchè poteva pregiudicare la realizzazione dell’evento”, ribadisce Gaballo. E la soluzione trovata per risolvere il “problema” è stata la realizzazione di due documenti falsi. Ora la parola passa alle difese. Poi i giudici decideranno.

Il Fatto quotidiano, 14 maggio 2019
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