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Non solo monti, sci & vacanze. La ’ndrangheta in Val d’Aosta

Non solo monti, sci & vacanze. La ’ndrangheta in Val d’Aosta

Da anni va dicendo e scrivendo che la Valle d’Aosta non è la versione francofona della patria di Heidi, che la corruzione qui rumina più delle mucche della Vallée e che la ’ndrangheta si è da tempo insediata nella regione più piccola, ricca e felice d’Italia. Si chiama Roberto Mancini, uomo di cultura e giornalista free lance. La ’ndrangheta è la sua ossessione, dice chi non lo ama. È da almeno dieci anni che scrive, su Nuova società, sempre nuovi capitoli della storia della ’ndrangheta in Valle. Ora gli chiederanno scusa? Gli daranno un premio? Ora che la ’ndrangheta in Valle d’Aosta è certificata dagli atti dell’inchiesta “Geenna” della Procura di Torino.

Sì, anche ad Aosta la ’ndrangheta ha una sua “locale”, gruppo criminale della cosca Nirta-Scalzone con radici a San Luca, provincia di Reggio Calabria, e affari in Valle. Erano sotto osservazione da tempo, i Nirta, “famiglia che annovera numerosi soggetti dediti al traffico internazionale di droga. Alcuni appartenenti a tale famiglia negli ultimi anni si sono radicati in Valle d’Aosta”. Giuseppe Nirta, ucciso nel 2017 in Spagna, secondo gli investigatori aveva messo su un bel traffico di cocaina tra Spagna, Calabria e Valle d’Aosta. Il capo della “locale” valdostana, per le ipotesi d’accusa, è Marco Fabrizio Di Donato, cognato di Nirta, fiancheggiato da Bruno Nirta, fratello di Giuseppe, e Tonino Raso, titolare del ristorante pizzeria La Rotonda, dove avvenivano gli incontri in cui si decidevano scelte, strategie, business. Appalti, incarichi pubblici, traffici di coca.

Non senza rapporti eccellenti, con la magistratura e la politica. Nirta è stato intercettato a lungo. I carabinieri avevano informato soltanto Pasquale Longarini, procuratore di Aosta facente funzioni. E di colpo – guarda caso – Nirta si era cucito la bocca: Longarini (già arrestato nel 2017 per altre vicende di corruzione) evidentemente parlava troppo. Gli arresti che hanno fatto più rumore sono quelli di tre politici locali dell’Union valdotaine: Marco Sorbara, ex assessore ad Aosta poi eletto consigliere regionale; Monica Carcea, assessore del Comune di Saint-Pierre, che ora rischia lo scioglimento per mafia; Nicola Prettico, consigliere comunale ad Aosta, sindacalista della Uil e dipendente del Casinò di St.Vincent.

La politica: è questa che fa la differenza tra una banda di criminali e un gruppo mafioso. E la cosca valdostana li ha, i politici “amici”. I tre dell’Union, secondo l’accusa, erano a disposizione del gruppo ’ndranghetista. Raccontavano agli affiliati della cosca quello che succedeva dentro le amministrazioni pubbliche. Li aiutavano a ottenere (o mantenere) incarichi pubblici, come il servizio di trasporto scolastico, effettuato dalla Passenger Transport, azienda intestata al cognato di Tonino Raso.

In cambio, i calabresi davano una mano agli amici dentro la politica: pacchetti di voti alle elezioni. “300 o 400 voti messi a disposizione nelle varie consultazioni elettorali”, spiegano i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Torino, sono sufficienti a garantire il successo politico degli “amici”. Se poi ci sono contrasti dentro l’Union, ecco l’intervento degli amici degli amici: per risolvere, “con metodo intimidatorio”, le tensioni che l’assessore Monica Carcea aveva dentro la giunta comunale di Saint-Pierre.

È una storia lunga, quella della ’ndrangheta in Valle. Iniziata almeno negli anni Ottanta. Nel 1991 ci fu anche il primo morto ammazzato: Gaetano Neri. Partì l’inchiesta “Lenzuolo”, a cui seguirono la “Tempus venit”, la “Hibrys”, la “Gerbera”, la “Caccia Grossa”. Infine, oggi, la “Geenna”. Nomi esotici per una realtà che ora non si può più negare: la mafia calabrese ha impiantato salde radici nella terra dell’Heidi che parla in patois.

Il Fatto quotidiano, 31 gennaio 2019
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