POLITICA

David Ermini, il videorenziano. Ovvero la politica che si prende il Csm

David Ermini, il videorenziano. Ovvero la politica che si prende il Csm

Da vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura (il presidente è il capo dello Stato) dovrà garantire la guida operativa dell’organo di autogoverno dei giudici, secondo criteri di autonomia e indipendenza. Ma David Ermini è un politico che più politico non si può. Nella sua carriera ha sempre agitato in modo vigoroso la bandiera del suo partito: legittimamente, era il suo mestiere. Ma ora che guida il Csm? In politica, poi, non è che si occupasse di scenari strategici internazionali o di agricoltura biologica integrata, ma era il responsabile giustizia del Pd. E sulla giustizia e i magistrati è intervenuto più volte a gamba tesa.

Sul caso Consip, per esempio, accusando i pm di Napoli di svolgere “un’inchiesta inquietante” contro il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Dopo aver accusato Henry Woodcock nei talk show televisivi, nei prossimi mesi si troverà a giudicarlo, seduto sulla poltrona più sensibile del Csm. Si dichiarava “angosciato”, Ermini. Non per le corruzioni milionarie scoperte nella centrale acquisti della pubblica amministrazione, né per le fughe di notizie che coinvolgevano militari e uomini di governo. Ma per il “complotto” ordito da chi stava conducendo le indagini. “Escono notizie di una gravità inaudita”, diceva con quella faccia un po’ così. “Prima si prende di mira Renzi e poi si lavora sulle indagini?”. “Vogliamo sapere i mandanti di questa storia”.

David Ermini è nato a Figline Valdarno nel 1959, il 1° novembre, festa di Ognissanti. Comincia facendo il cronista nei giornali locali. Si laurea in Giurisprudenza all’università di Firenze, con tesi sul diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero. Fa l’avvocato penalista. Ma nel 1980 si candida alle elezioni e diventa consigliere comunale a Firenze. Il suo partito è la Democrazia cristiana (fino al 1994), poi il Partito popolare (fino al 2002), poi ancora la Margherita (fino al 2007), infine il Pd. Nel 2009 passa al consiglio provinciale, di cui diventa presidente. Nel 2013, il salto verso Roma: si candida, con successo, alla Camera nelle liste del Pd di Renzi, che nel settembre 2014 lo nomina responsabile giustizia del partito.

Sposato, due figli, non è solo avvocato, ma anche giudice: è stato magistrato onorario presso il tribunale di Firenze e giudice sportivo presso la Federazione italiana gioco calcio. Ora è al vertice del Csm. Chissà se si ricorderà di quando se la prendeva con i magistrati colpevoli di schierarsi, in nome della difesa della Costituzione, per il No al referendum del 4 dicembre 2016. “E io un domani dovrei farmi giudicare da uno così?”, diceva del giudice Piergiorgio Morosini, che il Foglio aveva iscritto al comitato per il No. A Ermini non vanno proprio a genio quelli che hanno votato No: “Nessuno ha chiesto scusa per il No del 4 dicembre”, diceva nell’agosto 2017. Per poi spiegare: “Io alla mia patria ci tengo, e quindi ho tutto il diritto di dire che il 4 dicembre è stato una débâcle per l’Italia. Da quel giorno è più debole”.

Da responsabile giustizia del Pd se l’è presa direttamente con il Csm, quando questo, nel maggio 2015, ha espresso un parere sfavorevole al decreto anticorruzione presentato da Renzi: “È un giudizio incomprensibile e sconcertante”. Quando poi il Csm aveva osato mettere in discussione le “porte girevoli” dei magistrati in politica, Ermini aveva corrugato la fronte: “Come mai nei decenni passati al Csm erano rimasti tutti zitti, mentre in politica facevano carriera magistrati con nomi famosi e inchieste famose alle spalle? Come mai si solleva la questione solo adesso che in Parlamento ci sono pochi magistrati e poco noti?”.

Nella primavera 2017 mette la faccia sulla riforma della legittima difesa del Pd, che conteneva chicche come l’affermazione che era legittima la “reazione a un’aggressione commessa in tempo di notte”. E in tempo di giorno? “Se è l’elemento per cui si deve fare una campagna elettorale contro”, dichiara, “allora la parola notte la togliamo”.

Piercamillo Davigo ora se lo vedrà davanti a ogni seduta del Csm. Quando il magistrato aveva per l’ennesima volta denunciato la propensione della classe dirigente alle tangenti, Ermini aveva sentenziato: “Davigo cerca la rissa, ma non la trova. I giudici parlino con le sentenze”. Contro Luigi Di Maio, invece, ancora semplice parlamentare 5stelle che aveva osato twittare che Renzi aveva esercitato pressioni su Bankitalia riguardo a Banca Etruria, era insorto: “Dice bugie. Le fake news questi 5stelle le hanno nel Dna”. Per il resto, non pare sentirsi di sinistra; in tv ha avuto modo di rimbrottare con faccia seria seria un sorridente Corradino Mineo, così: “Tristi, voi della sinistra siete tristi!”.

Il Fatto quotidiano, 28 settembre 2018
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