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Roberti: Togliere la scorta a Ingroia e Saviano? Una vergogna

Roberti: Togliere la scorta a Ingroia e Saviano? Una vergogna

INTERVISTA / Franco Roberti di scorte se ne intende, per averle avute, quand’era magistrato a Napoli e poi procuratore nazionale antimafia a Roma. “La scorta ad Antonio Ingroia io non l’avrei tolta”, dice. “E quella a Roberto Saviano non penso debba neppure essere messa in discussione”.

Ma invece ad Antonio Ingroia è stato sospeso il servizio di tutela, dopo 27 anni di indagini antimafia e di minacce pesanti da parte di Cosa nostra. E proprio due settimane dopo la sentenza di condanna al processo per la trattativa Stato-mafia, che era nato sul suo impulso iniziale.

Io vorrei fare un discorso generale, astraendomi dai casi concreti: la valutazione se dare o no una scorta deve essere sempre fatta sulla base di criteri oggettivi, valutando se una persona è in pericolo, per le sue attività passate o per la quello che fa nel presente. Un altro criterio oggettivo è quelle delle forze che si hanno a disposizione per fornire le tutele. Comunque sia, dev’essere sempre una valutazione squisitamente tecnica.

La scorta a Ingroia è stata tolta quando ministro dell’Interno era Marco Minniti, con il governo di Paolo Gentiloni. La situazione poi non è cambiata con l’arrivo al Viminale del nuovo ministro, Matteo Salvini.

Non è compito del ministro decidere a chi dare o togliere la protezione. La scelta, ripeto, dev’essere puramente tecnica e viene presa dal capo della polizia e dai prefetti, l’organismo che le valuta è l’Ucis, l’ufficio centrale interforze per la sicurezza personale. Io sono stato consulente del ministro Minniti e so che la decisione è stata delle strutture del ministero.

Ma è mai possibile che il ministro non dia un impulso politico alle scelte burocratiche del suo ministero?

Non lo dà e non lo deve dare, guai se le valutazioni politiche entrano in decisioni così delicate. Sarebbe un’interferenza. Io non avrei revocato la tutela a Ingroia, conoscendo il suo lavoro in tanti anni da magistrato e anche il suo impegno presente come avvocato difensore in processi antimafia. So che le sentenze di morte pronunciate dalla mafia non sono mai revocate. E gli avrei mantenuto una protezione efficace, non una tutela nominale come quella che gli hanno assegnato ora. Ma evidentemente le strutture tecniche hanno deciso diversamente. Se fossi stato ancora un magistrato antimafia in attività sarei intervenuto a dire la mia, ma quando è successo ero già in pensione, consulente del ministro Minniti, ma non su questa materia. Così ho rispettato la decisione del comitato. Non so se poi chi ha sollevato il caso abbia fatto bene a Ingroia: temo lo abbia sovraesposto.

Il ministro Salvini ha criticato duramente le prese di posizione di Saviano, concludendo che avrebbe valutato se davvero lo scrittore avesse bisogno di una scorta. Non le sembra una minaccia o una rappresaglia?

Ognuno è responsabile delle proprie dichiarazioni, specie se le fa a raffica ogni giorno e su tutti i temi dello scibile umano. Non mi metto a commentare le dichiarazioni di Salvini. Credo che chi non ha competenza su questo argomento dovrebbe evitare di parlarne.

Lei ora è diventato assessore della giunta di Enzo De Luca alla Regione Campania. Qualcuno l’ha criticata per questa scelta, visto il personaggio De Luca, le sue dichiarazioni, il suo stile politico, le inchieste in cui è stato coinvolto.

Avevo messo nel conto le polemiche. Ma io ho dedicato tutta la mia vita al servizio delle istituzioni. Ho fatto il magistrato a Napoli e poi il procuratore nazionale antimafia. Sono stato messo in pensione, anticipatamente, per decreto del presidente del Consiglio Matteo Renzi. Avendo ancora energie, ho pensato di poter mettere ancora a disposizione le mie competenze rendendomi utile in altre istituzioni. Così ho accettato di diventare assessore alla sicurezza e alle politiche della legalità della Regione Campania. Io lavoro per l’istituzione Regione, non per De Luca. Lui risponde di quello che dice e che fa, io rispondo di quello che dico e che faccio io.

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Il Fatto quotidiano, 26 giugno 2018
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