MILANO

Perché Milano non ha ancora il più grande museo del design del mondo?

Perché Milano non ha ancora il più grande museo del design del mondo?

Sta per iniziare alla Triennale di Milano una mostra dedicata a Gilberto Colombo (“Gilco, il design della leggerezza”, dal 15 novembre al 10 dicembre 2017). Gilberto crebbe nell’azienda paterna, che fin dagli anni Trenta realizzava mobili in tubolare del Bauhaus. “Il tubo non tradisce mai” restò il suo motto anche quando unì impresa e design, integrando, in perfetta armonia con la migliore tradizione milanese, industria ed estetica, produzione e disegno, creando telai automobilistici (per la Ferrari) e auto (come la Ghia 230 e la 1500 Gt), ma anche motoscafi, barche da regata e biciclette d’alta gamma (come la Laser per cui vinse il Compasso d’oro).

La mostra è un’ottima occasione per riproporre una domanda già fatta dalle colonne di questo giornale: perché Milano non ha ancora un museo del design degno di questo nome? La Triennale fa un buon lavoro, ma la metropoli che si riempie di visitatori da tutto il mondo nella settimana del Salone del mobile e del Fuorisalone, la città di Gio Ponti e Achille Castiglioni, Bruno Munari ed Enzo Mari, Luigi Caccia Dominioni e Ignazio Gardella, Vico Magistretti e Marco Zanuso, Ettore Sottsass e Franco Albini, Gino Sarfatti e Rodolfo Bonetto, Vico Magistretti e Cini Boeri, Gae Aulenti e Mario Bellini, Alessandro Mendini e Michele De Lucchi, Andrea Branzi ed Ettore Sottsass (e tanti altri) meriterebbe qualcosa di più. Un museo stabile del design, il più grande, il più bello, il più attrattivo del mondo.

Negli ultimi settant’anni molti degli “oggetti significanti”, dei prodotti industriali che hanno creato senso, sensazioni e desiderio sono arrivati dall’Italia. Basta dire Olivetti, Lambretta, Vespa, Alessi. Molti sono stati disegnati a Milano. E qui sono nati i mobili, le lampade, la produzione industriale di qualità, il Compasso d’oro, le riviste di architettura e design, il graphic design, importanti corsi universitari, Memphis e le correnti dell’innovazione e della ricerca.

Sono, insieme, soldi e cultura. Storia e innovazione. Produzione industriale e ricerca estetica. Ma Milano non riesce ad affermare il suo ruolo di guida internazione in questo settore. Rischiando così di perdere il suo primato, culturale e industriale. È già successo, per tutt’altri motivi, in un settore diversissimo come il turismo, in cui l’Italia delle città bellissime, della storia millenaria e della natura incantata si è fatta superare da Spagna e Francia. Anche nel design Milano può appannare e dimenticare la sua storia e la sua tradizione. Londra ha il suo grande Design Museum di Kensington (nella foto d’apertura di questo articolo). Milano invece sa dedicare al design solo qualche mostra ogni tanto e qualche spazio in Triennale.

Al sindaco Giuseppe Sala, così attento al ruolo anche simbolico di Milano, chiediamo di farsi promotore di un grande progetto per costituire un vero museo del design a Milano, su modello di quello londinese e forse ancora più grande e ambizioso. Le aree non mancano, come pure le energie private da coinvolgere, in assenza di soldi pubblici. Per partire basterebbe cominciare a raccogliere e ordinare le collezioni di oggetti prodotti da tante aziende (quelle dell’arredamento, dell’illuminazione, dell’automobile, e poi la Olivetti e Alessi, Lambretta e Vespa…) che hanno già fatto storia. Soldi privati e regia pubblica, in un grande spazio che consacri Milano capitale internazionale del design. Al sindaco di Expo non dovrebbe dispiacere un’avventura così ambiziosa.

Il Fatto quotidiano, 10 novembre 2017
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