MILANO

Franco D’Alfonso, l’uomo che inventò l’arancione

Franco D’Alfonso, l’uomo che inventò l’arancione

È colpa sua se l’arancione è diventato, a Milano e non solo, il colore simbolo dei movimenti civici. Franco D’Alfonso ci ha puntato fin dal 2011, quando la sua “Lista per Milano” è stata determinante per far diventare sindaco Giuliano Pisapia. Alleato del Pd, ma autonomo dal Pd, nella stessa giunta, ma sempre pronto a polemizzare con i dem. Questa la chiave del “civismo” stile D’Alfonso, antipartito quanto basta per conquistare le simpatie della società civile milanese, ma governativo a sufficienza per gestire la sua fetta di potere. Erano arancioni le bandiere che riempivano piazza del Duomo, quell’incredibile pomeriggio del maggio 2011 in cui un arcobaleno comparve in cielo sopra la festa della vittoria.

Ora D’Alfonso, assessore al commercio con Pisapia e delegato alla città metropolitana con Giuseppe Sala, ha un problema: un indagato dall’antimafia racconta di avergli promesso voti in cambio di una licenza commerciale (mai arrivata). Lui nega tutto, ma ora gli sarà difficile alzare di nuovo la bandiera arancione dei movimenti civici contro il verde leghista alle prossime elezioni regionali in Lombardia.

Tutta colpa del faccendiere Domenico Palmieri, arrestato a maggio dai pm antimafia Ilda Boccassini e Paolo Storari per i suoi contatti con il clan catanese dei Laudani. Palmieri, ex sindacalista della Uil, ha raccontato che un imprenditore per cui “lavorava”, Arcangelo Giamundo, voleva aprire un bar all’Idroscalo. “Effettivamente D’Alfonso ci chiede di preparare un progetto per un bando che si impegna a lasciar fuori per soli 15 giorni”, dichiara Palmieri ai pm. “Se nessuno si fosse presentato in quei 15 giorni, la gara sarebbe stata affidata a Giamundo”. In cambio di un aiutino alle prossime regionali: “D’Alfonso chiese a Giamundo di metterlo in contatto con le liste civiche presentatesi in precedenti elezioni a Cinisello o Sesto San Giovanni, diciamo in Brianza”.

Questo almeno è ciò che racconta Palmieri. D’Alfonso smentisce secco: “Palmieri mente, è un millantatore, lo denuncio per calunnia”. Comunque il bar non è mai stato aperto e le elezioni sono ancora lontane, così la storia, dal punto di vista giudiziario, potrebbe essere avviata su un binario morto. Ma schizzerebbe – se Palmieri dicesse la verità – una macchia nera sul futuro arancione di D’Alfonso in regione.

Milanese, 61 anni, laurea in legge alla Statale e master alla Bocconi, D’Alfonso ha fatto il manager in Fininvest e Mediaset, dove è stato direttore delle produzioni internazionali. Ha lavorato in Alfa Romeo, Finmeccanica e Italtel, ha fatto il consulente e l’amministratore delegato di numerose aziende. Politicamente è socialista, ma dopo la dissoluzione del craxismo dimentica i partiti e punta su circoli e movimenti. Diventa anima del civismo arancione a cui Pisapia deve una buona parte del suo successo elettorale.

Dopo la vittoria è premiato con l’assessorato al commercio. E si fa notare per prese di posizione controcorrente. Dichiara subito che i consiglieri di maggioranza, soprattutto Pd, sono in gran parte incapaci e inadeguati (“Ci sono almeno 20-22 consiglieri di maggioranza su 29 che non sanno bene cosa fare o che riferimento politico avere”). Attacca duramente l’allora vicesindaco Stefano Boeri. Propone di cambiare nome al corso Vittorio Emanuele di Savoia facendolo diventare Contrada de’ servi. Tenta di raddoppiare la Cosap, la tassa di occupazione del suolo pubblico. Annuncia di non voler più concedere alcuno spazio comunale a Dolce e Gabbana, perché “non abbiamo bisogno di farci rappresentare da evasori fiscali”.

Impone la chiusura anticipata dei chioschi notturni che servono salamelle. Per tentare di moderare la folla da movida milanese, emana un’ordinanza che vieta di vendere gelati dopo mezzanotte. Innumerevoli volte il più arancione degli uomini di Pisapia è riuscito a farsi smentire e bacchettare da Pisapia, che doveva intervenire a correggere e raddrizzare (“Sarà il caldo d’agosto”), difendendo, di volta in volta, i suoi consiglieri comunali, gli stilisti Dolce e Gabbana, gli spacciatori notturni di salamelle e di gelato.

Quando capisce che Pisapia sta lasciando Milano e non ha intenzione di ricandidarsi sindaco, D’Alfonso lo paragona a “Schettino che scende dalla nave”. Con l’arrivo di Sala, il Pd gli strappa di mano la bandiera arancione, che diventa una sottomarca del Partito democratico. Diventato sindaco, l’ex manager di Expo non affida alcun assessorato a D’Alfonso, a cui offre soltanto la delega per occuparsi della disastratissima e indebitatissima città metropolitana. Lui tira avanti preparandosi alle elezioni regionali. Ora una carta giudiziaria lo blocca. Per sempre?

Il Fatto quotidiano, 1 agosto 2017
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