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L’amaro Montenegro dei manager (indagati) di A2a

L’amaro Montenegro dei manager (indagati) di A2a

I vertici di A2a sono invischiati in una nuova indagine per corruzione in Montenegro. Lo sostengono fonti nel Paese balcanico, spiegando che proprio l’inchiesta aperta dalla Procura Speciale dello Stato del Montenegro sulla multiutility italiana è il motivo per cui nei giorni scorsi è avvenuto il sequestro cautelare delle azioni della compagnia elettrica nazionale, la Epcg, che A2a stava rivendendo al governo locale. È da anni che A2a, azienda controllata dai Comuni di Milano e di Brescia, cerca di uscire dal labirinto montenegrino, rimanendovi però kafkianamente invischiata. L’avventura (o l’incubo?) è iniziata nel 2009, quando Silvio Berlusconi convinse l’allora sindaco di Milano Letizia Moratti, assistita dall’allora direttore generale del Comune Giuseppe Sala (che prima di entrare in Expo è stato anche presidente di A2a), ad acquisire il 43,7% di Epcg, sborsando 436 milioni di euro.

Nella partita era coinvolta anche Terna, che avrebbe dovuto posare un cavo sottomarino per portare in Italia l’energia elettrica prodotta in Montenegro. Il cavo non è ancora pronto (Terna promette che verrà completato nel 2019), seguirono invece polemiche, voci ricorrenti di tangenti e soprattutto continui contrasti tra gli uomini di A2a, che assumono la gestione della compagnia, e il socio di maggioranza di Epcg, il governo montenegrino, che pretende di continuare una gestione “politica” dell’azienda.

Nell’aprile 2016, mentre è all’aeroporto di Podgorica per tornare definitivamente in Italia, viene arrestato Flavio Bianco, ex direttore finanziario di Ecpg espresso da A2a. Insieme al suo predecessore Massimo Sala, all’ex amministratore delegato Enrico Malerba e a tre manager locali, è accusato di “abuso di potere in attività commerciale”, per aver affidato senza gara, tra il 2010 e il 2012, consulenze per 4,3 milioni di euro ad A2a, A2a Reti, Bain e Swg. Scelte – si difendono gli interessati – tutte approvate da una commissione locale, condivise con l’intero consiglio d’amministrazione di Epcg e messe regolarmente a bilancio.

A fine giugno 2017, A2a approfitta della scadenza dei patti sociali per uscire dal ginepraio montenegrino esercitando il diritto di “put” e rivendendo la quota di Epcg (oggi al 41,7%) per 250 milioni da incassare in sette anni. L’advisor di A2a, Rothschild, sostiene di aver già raccolto alcune manifestazioni d’interesse da parte di investitori che potrebbero acquistare la quota. Nel complesso resta comunque un’operazione in perdita, visto che A2a si deve accontentare di poco più della metà di quanto investito nel 2009, ma un divorzio costoso è forse meno imbarazzante di una coabitazione impossibile.

A2a il 5 luglio annuncia l’uscita da Epcg e le dimissioni dei suoi uomini ai vertici operativi, l’amministratore delegato Tonino Maglia e i manager Giancarlo Sanco, Fulvio Ivo Guidi e Roberto Pozzi. Ma subito dopo, la stampa locale annuncia che l’Alta corte ha bloccato le azioni Epcg in mano ad A2a, impedendone la vendita. Ieri è arrivata all’azienda la comunicazione ufficiale. Il sequestro cautelare è stato fatto su richiesta della Procura Speciale, che ha aperto una nuova indagine per corruzione, che ruota attorno all’avvocato Goran Rodic, il quale sarebbe stato incaricato dai vertici di A2a, oggi retta dal presidente Giovanni Valotti e dall’amministratore delegato Luca Valerio Camerano, di trovare una via d’uscita dalle pendenze penali in Montenegro per i manager sotto inchiesta.

Rodic, secondo fonti locali, avrebbe proposto tre soluzioni, ognuna con la sua parcella. La prima: dichiararsi colpevoli, costo 18 mila euro. La seconda: resistere in giudizio, senza però garanzie di risultati positivi e senza possibilità di quantificare i costi finali. La terza: la “opzione balcanica”, una negoziazione con il giudice per ottenere il proscioglimento dei tre imputati italiani. Costo 600 mila euro – riferiscono le fonti montenegrine – che dopo le proteste degli italiani, che ritenevano la cifra troppo alta, sarebbe stato portato da Rodic addirittura a 2 milioni, da pagare in banconote da 10 euro.

Nessuna conferma ufficiale, né in Italia né in Montenegro, a questa ricostruzione che sarebbe però provata – secondo la stampa locale – da comunicazioni avvenute tra uomini A2a e l’avvocato Rodic, i cui telefoni erano intercettati. C’è anche chi, conoscendo i riti balcanici, sospetta che le mosse della magistratura locale siano manovre per permettere al governo di non pagare agli italiani neppure i 250 milioni richiesti. Quello che è certo è che intanto A2a resta ancora imprigionata nel labirinto montenegrino.

La replica di A2a:
Gentile Direttore, in merito all’articolo “Energia, l’amaro Montenegro dei manager (indagati) di A2A”, desideriamo fornire alcuni elementi che possano aiutare i lettori nella comprensione di una vicenda articolata e complessa. Come correttamente riportato nel testo dell’articolo, il procedimento in corso riguarda fatti accaduti in Montenegro tra il 2010 e il 2012. È opportuno però sottolineare che dai documenti recapitati nelle scorse ore ad A2A, emerge chiaramente che il sequestro non ha nulla a che vedere con l’indagine nei confronti dell’avv. Rodic, ma riguarda il procedimento di cui sopra. La Società sta analizzando il provvedimento allo scopo di impugnarlo giudizialmente nei termini e nelle sedi previsti. Ci preme infine confermare tassativamente che A2A ha sempre operato nel rispetto di tutte le leggi, anche nel rapporto con l’avv. Rodic. Nessun procedimento per corruzione, dunque, coinvolge A2A. (Milano, 26 luglio 2017)

 

Il Fatto quotidiano, 26 luglio 2017 (versione estesa)
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