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Veronesi, la ricerca e il potere

Veronesi, la ricerca e il potere Il prefessore Umberto Veronesi nella casa del centro di Milano, 5 gennaio 2015. ANSA/DANIEL DAL ZENNARO

Umberto Veronesi si è spento a Milano l’8 novembre 2016. Aveva 90 anni.

Era l’uomo amato dalle donne, per il suo fascino e per averne salvate molte dal cancro. Medico, scienziato, uomo di potere, campione laico, grande comunicatore, se n’è andato a 90 anni. Era arrivato dalla campagna pavese in una Milano ancora in bianco e nero. Diventato medico, l’inizio della sua avventura lo aveva raccontato così: “Era un giorno d’estate, primi anni Cinquanta, io giovane assistente all’Istituto dei tumori di Milano. Il responsabile del reparto va in ferie, il vice pure, mi chiamano: ‘Tocca a te’. Era la prima volta che operavo una donna al seno”. Allora l’intervento era macelleria. “Si pensava fosse l’unico modo per salvare la vita delle pazienti, ma era un massacro. Allora mi sono messo a pensare, studiare, ricercare”. Nel 1981 la tecnica rivoluzionaria di Umberto Veronesi (la “quadrantectomia”) arriva sulla prima pagina del New York Times.

Diventa l’uomo-simbolo della lotta ai tumori: 30 mila donne operate, 300 mila visitate, 5 milioni che hanno avuto il seno salvato grazie al suo metodo. Fino all’ultimo, anche dopo aver lasciato l’incarico di direttore scientifico dello Ieo, l’Istituto europeo di oncologia da lui fondato del 1991, è restato il punto di riferimento della Fondazione Umberto Veronesi, grande macchina per la raccolta di fondi da utilizzare nella ricerca sul cancro.

Non ha mai avuto paura di dichiarare la propria laicità. Si proclamava non credente, favorevole all’aborto, sostenitore dell’eutanasia. Diceva che “la marijuana non fa male” e che “i danni da spinello sono praticamente inesistenti”. Grande seduttore di uomini e di donne, benché fieramente eterosessuale si diceva convinto che l’umanità stesse andando verso una progressiva de-sessualizzazione. E che anche le persone omosessuali potessero adottare dei figli: “Un gay può essere un bravissimo padre o una bravissima madre, non vedo che differenza ci sia”. Sì anche alla riproduzione in provetta, “perché ormai di fronte a un’aumentata infertilità, sia maschile sia femminile, e a una procreazione sempre più avanti con gli anni, dobbiamo trovare delle soluzioni. E la più semplice è la procreazione medicalmente assistita”. Di sé diceva: “Sono ermafrodita, in senso intellettuale: un corpo da uomo con una mente femminile”.

La sua laicità era nutrita dalla riflessione sul dolore e sul male nel mondo. “Non saprei dire qual è stato il mio primo giorno senza Dio”, scriveva. “Sicuramente dopo l’esperienza della guerra non misi mai più piede in una chiesa… Oltre alle stragi dei combattimenti, ho toccato con mano anche la follia del nazismo e non ho potuto non chiedermi, come fece Hannah Arendt prima e Benedetto XVI molti anni dopo: ‘Dov’era Dio ad Auschwitz?’”. Poi era arrivato l’incontro, altrettanto drammatico, con il cancro. “Allo stesso modo di Auschwitz, è diventato la prova della non esistenza di Dio. Come puoi credere nella Provvidenza o nell’amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi?”.

Veronesi, grande medico e grande amico delle donne, era diventato un intoccabile: non si può parlar male di Garibaldi. Così quando ci provò Beppe Grillo (“Veronesi va sempre in tv a pubblicizzare la necessità per le donne di fare le mammografie… Ma lui magari prende le sovvenzioni per il suo istituto da chi vende le macchine per le mammografie”) fu sommerso dalle critiche. E non andò meglio al Cinquestelle Roberto Fico, che osò dire: “Quanta ipocrisia sui tumori. Veronesi è finanziato da costruttori di inceneritori. Il governo disquisisce di tumori e mammografie, ma è lo stesso che autorizza la ricerca e l’estrazione del petrolio in Italia, che non investe un euro nelle energie rinnovabili, che dirotta i soldi per le bonifiche delle terre inquinate verso l’Expo”.

Finanziano la sua Fondazione, in effetti, aziende come Acea, Enel e Veolia (che gestiscono centrali e inceneritori), ma anche industrie farmaceutiche come Novartis, Pfizer e Kedrion (gruppo Marcucci, coinvolto nello scandalo del sangue infetto), oltre a Eni, Nestlè, Adecco, Cpl Concordia e T-Fumo (sigarette elettroniche). Una parte del mondo medico criticava – ma senza dirlo troppo ad alta voce, perché l’uomo era potente – i rischi di iper-trattamento del cancro. Qualcuno si spingeva fino a dire che si era messa in moto una macchina inarrestabile che finiva per trattare anche tumori “indolenti” che (forse) non si sarebbero mai sviluppati. Ne aveva scritto anche quel New York Times che lo aveva consacrato star mondiale della medicina. Veronesi rispondeva che quel “forse” era sufficiente a far comunque partire l’intervento, perché era in gioco la vita di milioni di donne.

Qualche anno fa, dichiarò che gli inceneritori hanno “incidenza zero” sulla salute della popolazione. Come le centrali nucleari, che andavano costruite anche in Italia (“almeno dieci in dieci anni”) per rispettare gli impegni presi con il Protocollo di Kyoto, superando lo “spauracchio ingiustificato” della tecnologia atomica, che “non comporta rischi per la salute e l’ambiente”. Gli aveva risposto seccamente il premio Nobel per la Fisica Carlo Rubbia: “Veronesi si occupi di oncologia, dove riesce benissimo, lasciando il nucleare a chi ne ha competenza”.

Il suo rapporto con la politica durò tutta la vita. Negli anni Ottanta della Milano da bere era grande amico dei socialisti e di Bettino Craxi, nel 2000 fu chiamato da Giuliano Amato a fare il ministro della Sanità (è il vero padre della legge antifumo che ha cambiato la vita quotidiana degli italiani), dal 2008 al 2011 fu senatore del Pd. Ma il suo potere lo esercitava soprattutto nel mondo della medicina e della ricerca. Da lui, amato e temuto, dipendevano tanti istituti e tante carriere. Ora ha lasciato tutto per tuffarsi in quella “pace universale” che riteneva il destino finale dell’uomo.

 

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