SEGRETI

Carboni, Boschi e quello “stantio odore di massoneria”

Carboni, Boschi e quello “stantio odore di massoneria”

Ha attraversato la storia italiana – Prima, Seconda e Terza Repubblica – incrociando e mischiando contatti, conoscenze, affari, politica, poteri, bande criminali e apparati segreti. Flavio Carboni oggi torna alla ribalta per gli incontri con papà Boschi, con il quale discuteva delle sorti di Banca Etruria. Riprende così a circolare lo “stantio odore di massoneria” che spesso accompagna, in questo Paese, le decisioni che vengono prese sul crinale tra politica e affari.

Erano gli anni Settanta quando dovemmo cominciare a conoscere Carboni. Finanziere, sardo, faccendiere: una definizione, quest’ultima, che sembra costruita su misura per lui. In ottimi rapporti con un altro sardo, Armando Corona, allora Gran Maestro della massoneria italiana. Carboni faceva affari immobiliari in Sardegna, aveva contatti importanti a Roma. Con un imprenditore emergente milanese di nome Silvio Berlusconi avviò un progetto immobiliare nei pressi di Olbia a cui diede il nome di “Costa Turchese”, benché sia ricordato come “Olbia 2”. Altri affari li fece, a Roma, con un certo Domenico Balducci e un tale Pippo Calò. Il primo era un boss della Banda della Magliana, e finì assassinato. Il secondo era l’ambasciatore di Cosa nostra nella Capitale, e finì in galera per mafia.

Erano i tempi eroici in cui la Magliana, in contatto con gli uomini di Cosa nostra, veniva usata come agenzia per i lavori sporchi dei servizi segreti, dominati dagli uomini della più potente e segreta loggia massonica italiana, la P2 di Licio Gelli. Ne faceva parte anche Berlusconi, che del gruppo resta quello che fece più soldi e più carriera, fino a Palazzo Chigi.

Finì malissimo, invece, Roberto Calvi, che scalò il Banco Ambrosiano fino a diventarne il numero uno, ma dovette poi fuggire a Londra, inseguito da creditori che non tollerano errori negli investimenti (mica siamo a Banca Etruria!): gli inflessibili investitori di Cosa nostra. Carboni fu l’uomo più vicino a Calvi nella sua ultima avventura, che finì in una brutta notte di giugno del 1982 a Londra, sotto il ponte dei Frati Neri. Fu a lungo accusato del suo omicidio, indagato, processato, ma per questa accusa infine definitivamente assolto.

La stampa continua a definirlo faccendiere. Lui ribatte: “Ma perché continuate a chiamarmi così? Io ero e sono un imprenditore, un immobiliarista”. Di lui il pentito Francesco Marino Mannoia racconta che investiva, insieme a Gelli, i soldi dei Corleonesi di Cosa nostra. Il pentito della Magliana Antonio Mancini lo definisce “anello di raccordo tra la banda della Magliana, la mafia di Pippo Calò e gli esponenti della loggia P2 di Licio Gelli”. Brutta gente, i pentiti.

Nel 1982 arriva l’arresto, il primo di una lunga serie. Nel 1998 viene condannato a 8 anni e 6 mesi per concorso nel fallimento del Banco Ambrosiano. Entra ed esce di prigione, ma continua gli affari. Nel maggio 2010 viene indagato per concorso in corruzione in un’inchiesta sugli appalti per l’energia eolica in Sardegna. È, ancora una volta, in buona compagnia: il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci, il coordinatore del Pdl Denis Verdini, il senatore berlusconano Marcello Dell’Utri. A luglio 2010 viene arrestato. È accusato di aver aggiornato la loggia di Gelli mettendo insieme la P3, una combriccola che puntava a “condizionare il funzionamento degli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale, nonché apparati della pubblica amministrazione dello Stato e degli enti locali”.

Una associazione segreta vietata dalla legge Anselmi (quella sulla P2) che aveva provato a influire sulla Corte costituzionale che nel 2009 doveva decidere sul Lodo Alfano (cioè sulla salvezza totale di Silvio Berlusconi alle prese con il processo Mills). A pochi giorni dal giudizio della Consulta, il 23 settembre 2009, Verdini riunisce nella sua abitazione romana Carboni, Dell’Utri, il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, i magistrati Antonio Martone e Arcibaldo Miller, oltre ad Arcangelo Martino e Raffaele Lombardi, i due personaggi arrestati insieme a Carboni nel luglio 2010. L’obiettivo è influire sulla Corte perché non bocci (come invece farà) il Lodo Salvaberlusconi. Ma la superlobby segreta lavora anche per influire sulla decisione della Corte d’appello di Milano che deve valutare l’esclusione della lista di Roberto Formigoni alle elezioni regionali; per pesare sull’attività del Consiglio superiore della magistratura; per sostenere la candidatura di Nicola Cosentino alle regionali in Campania…

Lobbismo politico mischiato all’affarismo: la specialità di Carboni da sempre. Un know-how riconosciuto, nel mondo che emana lo “stantio odore di massoneria”: tanto che quando si deve decidere il nuovo direttore generale di Banca Etruria, il vicepresidente Pierluigi Boschi, padre della ministra Maria Elena Boschi, incontra Flavio Carboni, il faccendiere per tutte le stagioni.

Il Fatto quotidiano, 17 gennaio 2016
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