SEGRETI

Quattro proposte per poter dire: “Io so”

Quattro proposte per poter dire: “Io so”

A che punto è la notte? Oggi, 12 dicembre, è l’anniversario numero 46 della madre di tutte le stragi, quella che fece “perdere l’innocenza” a un’Italia non ancora abituata alle bombe e ai terrorismi. C’è chi continua a ripetere lo slogan: “Per non dimenticare”. Ma i più hanno scordato le vecchie storie delle trame nere, troppo lontane, troppo incerte, troppo complicate. Il dolore non dimentica, ma è ormai custodito come una ferita insanabile solo dai famigliari delle tante vittime innocenti, da chi ha perso un padre, o un figlio, o una moglie, o un amico.

Dopo 46 anni dal botto di Piazza Fontana non siamo ancora riusciti a sapere i nomi dei colpevoli delle tante stragi italiane. Ma, ancor peggio, dopo 26 anni dalla caduta del Muro di Berlino non ci hanno ancora detto che cosa davvero è successo in quella guerra silenziosa combattuta da eserciti segreti, con gruppi armati lasciati agire, apparati dello Stato impegnati a sottrarre prove ed esfiltrare testimoni e centinaia di vittime uccise o ferite in una guerra di cui neppure sapevano l’esistenza, solo perché erano al momento sbagliato nel salone di una banca, nello scompartimento di un treno, nell’angolo sbagliato di una piazza, nella sala d’aspetto di una stazione.

Più d’un anno fa, Matteo Renzi promise la declassificazione dei documenti sulle stragi. Effettivamente centinaia di faldoni, migliaia di documenti sono stati versati all’Archivio centrale dello Stato. L’elenco, consultabile sul sito web dell’Archivio, comprende documenti che arrivano dalla presidenza del Consiglio, dai servizi di sicurezza, dai ministeri degli Esteri, dell’Interno, dell’Economia, della Difesa, dagli archivi dell’Esercito, dell’Aeronautica, della Marina e dei Carabinieri.

Quello che finora già sappiamo non è poco. Quarant’anni di testimonianze, ricerche storiche, indagini giudiziarie e sentenze – che pure non hanno trovato prove sufficienti a condannare esecutori e mandanti, inchiodandoli a precise responsabilità penali personali – hanno però prodotto almeno due certezze. La prima è che le stragi della cosiddetta strategia della tensione sono state materialmente eseguite da gruppi neofascisti. Del resto, almeno un condannato per le bombe del 12 dicembre c’è: è Carlo Digilio, detto “zio Otto”, esperto in esplosivi, che si è autoaccusato di aver contribuito alla preparazione dell’ordigno, confezionato per il gruppo neofascista Ordine nuovo.

La seconda è che gli apparati dello Stato hanno depistato le indagini e sottratto prove e testimoni, in nome della “guerra non ortodossa” combattuta con eserciti segreti e segretissimi accordi internazionali. Lo dicono le stesse sentenze – piazza Fontana, piazza della Loggia, questura di Milano – che hanno mandato assolti i loro imputati (tranne Digilio).

Noi sappiamo, dunque. Non abbiamo accertato le responsabilità penali, ma conosciamo i gruppi allevati per le operazioni “riservate”, i meccanismi, le strategie, le intossicazioni informative, i doppi giochi. Sappiamo il ruolo degli apparati dello Stato che hanno giocato alla guerra fredda, usando cinicamente massoni, mafiosi, criminali; che hanno impiegato Ordine nuovo, Avanguardia nazionale e i loro derivati; che hanno fatto della P2 e della banda della Magliana agenzie per i lavori sporchi e per gli affari loro.

Ora i ricercatori potranno dedicarsi allo studio del materiale declassificato dopo la direttiva Renzi. Chissà se uscirà qualche elemento in più per avere, se non giustizia, almeno verità. Per aumentare le speranze che questo succeda, è necessario chiarire alcuni punti.

Uno. Dobbiamo sapere chi seleziona il materiale da declassificare e con quali criteri e da quali e quanti archivi, altrimenti resterà il dubbio che chi ha depistato sia lo stesso che sceglie cosa rendere pubblico e cosa no.

Due. La direttiva riguarda gli episodi di strage, ma andrebbe allargata ai fatti di contorno e al periodo di riferimento, altrimenti si rischia di non capire quello che si muoveva “attorno” agli eventi di strage.

Tre. La direttiva va allargata anche alle persone che sono state protagoniste di quei fatti: altrimenti non potremo mai leggere i documenti riservati che esistono, per esempio, su Gianfranco Bertoli, che tirò la bomba alla questura di Milano, o su Elio Ciolini, il depistatore della strage di Bologna, o su Licio Gelli, il Venerabile la cui storia parte dal golpe Borghese e arriva fino alla stazione di Bologna e oltre.

Quattro. Per rendere davvero accessibili i documenti, è necessario metterli a disposizione in formato digitale e dotati di indici e inventari. Magari in rapporto con gli archivi di Stato locali e in collaborazione con archivi come quelli della Casa della Memoria di Bologna, della Rete degli archivi per non dimenticare, del Centro documentazione Archivio Flamigni. E buon lavoro.

Il Fatto quotidiano, 12 dicembre 2015. Versione aggiornata
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